raffaele solaini
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Le parole pronunciate dal cardinale Camillo Ruini, secondo il quale una revisione della legge 194 sull’aborto sarebbe non solo legittima, ma anche doverosa, hanno suscitato le prevedibili reazioni. A stretto giro di posta, il ministro Livia Turco si è espressa a difesa della legge. Al di là dei toni concilianti di entrambi, lo scambio di battute rivela, ancora una volta, l’indisponibilità al dialogo fra il mondo laico e le gerarchie ecclesiastiche, innanzitutto per una questione di metodo. Di fronte alle questioni di principio sollevate dal cardinale, la Turco ha difeso la legge 194, rivendicando piuttosto gli effetti positivi ottenuti in termini di riduzione del numero di aborti. Sarebbe stato forse opportuno ascoltare anche dal fronte laico indicazioni sui valori che ne hanno motivato le scelte.

Né la Turco ha voluto commentare l’idea che una revisione della legge sarebbe “doverosa”, precisazione, questa, che solleva qualche dubbio in merito all’opportunità delle parole del cardinale. Non è certo in discussione la libertà, costituzionalmente garantita anche a Ruini, di manifestare il proprio pensiero e battersi per i propri principi. Può essere tuttavia discutibile, su un diverso piano, il fatto che egli ritenga di dire quello che il potere legislativo “debba” fare. Dare una direttiva significa presumere, ed eventualmente costituire con il proprio dire, una struttura gerarchica, distinguendo il ruolo di chi è in condizione di dettare la linea da quello di chi invece dovrebbe rispondere a tono.

La società, in generale, e la dialettica fra le istituzioni, in modo particolare, impongono anche delle regole che limitano di fatto le possibilità di ciascuno di prendere parola e posizione in funzione dei contesti dati, dei ruoli ricoperti e delle competenze riconosciute. Regole di opportunità, la cui violazione, sempre possibile, mostra tuttavia l’intenzione di sovvertire un ordine costituito. Trincerandosi dietro il sacrosanto principio della libertà di parola, Ruini nasconde e difende anche il tentativo di ridefinire le regole del gioco, rinegoziando i rapporti fra Stato e Chiesa, con le loro rispettive prerogative.

Il dialogo a distanza fra Ruini e la Turco non rivela alcuna reale intenzione di confronto. Piuttosto, mostra in filigrana una lotta di potere, per affermare ciò che Michel Foucault avrebbe definito “l’ordine del discorso”. Potere innanzitutto di dare il vero nome alle cose, stabilendo così principi non negoziabili; potere quindi di detenere la parola ultima, anche in merito alla legittimità di alcune leggi. Per contestare questa impostazione, Livia Turco avrebbe potuto anche ricordare che le parole sono istituti democratici. Appartengono a tutti e trovano il loro senso attraverso un processo continuo di confronto, che spetta al potere politico regolare.

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(Affaritaliani.it, 07-09-2007)